Riuscirò a scrivere 5 articoli la settimana? Nuova sfida salva-il-blog!

Ultimamente è una cosa che mi sono imposta e, aggiungo, quale sfida migliore di questa? Ma veniamo al dunque, è sabato e l’ultima cosa che potrebbe apportare benefici a questo blog in sofferenza da tempo è un post noioso e capace di generare ulteriori dubbi esistenziali.

Mi sono imposta di scrivere un post al giorno, per almeno 5 giorni la settimana. Questa è la prima volta che lo dico in modo “ufficiale”, non l’ho ancora segnato nemmeno sull’app per acquisire abitudini e raggiungere obiettivi random che ho scaricato l’altro ieri. Però, la skincare me la sono fatta.

Non so proprio come racimolare le idee per questa sfida che intendevo far durare almeno sino all’autunno, data approssimativa in cui deciderò quale sarà il destino di questo spazio, ormai di 9 anni! Potrei parlare di qualsiasi cosa, del resto chi è multipod come me e molti dei miei lettori, ne sono certa perchè altrimenti che cosa si sarebbero iscritti a fare qui, lo sa bene che le scelte non sono il nostro forte. Ragion per cui sono certa che arriverò al 31 ottobre senza aver fatto morire o tornare in vita Giorni di Plastica, anzi, rimarrà peggio ancora in un limbo, esistente ma privo di aggiornamenti. Il peggio del peggio, occupare uno spazio nel web senza motivo, insomma come quando con la macchina posteggi in modo da prenderti due parcheggi e i tipi che passano ti maledicono in dialetto. Io almeno me lo immagino così, ma non ho la patente e non conosco il dialetto. Pura fantascienza, fantasia, paturnie? Io non credo!

Siamo arrivati quasi a metà articolo e già questo teoricamente basterebbe a incoraggiare il mio neurone che per oggi ho già fatto una delle diecimila cose che mi ero imposta. Mi consolo e giustifico dicendo che la giornata ha solo 24 ore e 8 di queste le passo a dormire per colpa della melatonina dell’Eurospin, insomma che ci posso fare io se mi piace Spotify, se ho una dipendenza da Pinterest e controllo compulsivamente la mail (ne ho mandate 5 urgenti questi ultimi giorni ma mi hanno ghostato tutti)? Ho forse la colpa di usare questa roba che qualcuno ha inventato per diventare ricco? No. Anzi, per quanto uso questi cosi, gli amministrativi delegati dovrebbero mandarmi minimo una lettera raccomandata con dei ringraziamenti in cinque lingue diverse, sia mai che abbia dimenticato la mia dopo il quarto prosecco, del resto è periodo di cerimonie.

Ma, giusto per citare e farvi leggere il post di ieri, riprenderci la mano è dura. Ho quasi sterminato il blog ignorandolo per mesi, anzi, cosa pretendo, dovrei persino complimentarmi con me stessa per aver scritto un articolo mentre il mio cappuccino fatto in casa con chissà quale diavoleria chimica in barattolo non è ancora freddo o, peggio, finito. Piuttosto: Mi sono rimasti solo 4 cornetti integrali. Non penso di poter completare la sfida in questo modo. Devo fare spesa di colazioni.

Dopo tutte queste righe, comincio a prenderci gusto. O meglio: a riprenderci la mano. Bella la vita con gli ad, secondo me, ti butti sul letto col Nescafè e il cornetto sottomarca e per scrivere due merdate ti arriva a casa, in ordine: un pacco di Sephora con dentro 15 detergenti diversi, 36 rossetti, la scimmia di Pippi Calzelunghe e un buono da 100 euro da regalare ai fan; una borsa di Versace che ti devi mettere per fare la spesa alla Coop e qualche pirla deve pure fotografarti mentre scegli i cereali; Federico Fashion Style in persona pronto a tingerti i capelli con la Nutella; un Moet che non ho manco voglia di cercare l’accento, figuriamoci.

Però chissà, mi piacerebbe anche fare la editor e migliorare i testi degli altri, che se non pubblicano i miei almeno poi finiscono sugli scaffali libri che ho già letto e dove gli autori mi infileranno tra i ringraziamenti, mi farò un piantino e poi andrò a cena fuori a mangiarmi delle pennette alle verdure che hanno davvero le verdure e non soltanto l’impasto aromatizzato agli spinaci fritti.

Per ora, rimango solo una mini-blogger che scrive ciò che le passa per la testa, 5 volte la settimana salvo abbandoni improvvisi di questa sfida.

A proposito, quello schifo di cappuccino si è raffreddato.

Voglio il computer con la mela 

Posto che è domenica ed è la giornata che più considero adatta a lamentarmi, perché non andando a lavorare e rifiutandomi categoricamente di aprire libro ho tempo sufficiente a piagnucolare per qualsiasi cosa mi capiti davanti nell’arco di 24 ore.

Togliendo tutto il tempo che passerò a dormire o a guardare con terrore il libro della Gualmini  (non sono sicura si chiami così), mi avanzano circa dodici minuti e trentatrè secondi.

Certo, se avessi avuto i big money che merito giusto per il fatto di avere un cervello iperattivo e la volontà di svegliarmi prima di mezzogiorno anche nel weekend, avrei di certo lavorato più volentieri sia alla tesi, agli esami e al Blog,  perché mi sarei comprata il meraviglioso computer della mela di cui non cito il brand, tanto sapete rappresenta il cibo masticato da Eva e spalmato su tutti questi aggeggi tecnologici che non saprei nemmeno usare, ma la mia vanità di venticinquenne sognatrice e esteta, nonostante mi piacciano Anche i pupazzi con i Minions, non mi consente di guardarli con indifferenza.

Cioè io adesso avrei potuto sputare su questo post una foto sfavillante con al centro un Mac, a destra la bottiglia di Fitvia e in bocca un panino al prosciutto. Però gli hashtag #healthy #Fit #Apple mi avrebbero aiutata a guadagnare abbastanza followers da pagarmi le vacanze all’Hilton all Life Long. 

Al momento penso che spenderò quelle 1300 euro in altre cose che so usare. Evidenziatori per il libro della Gualmini, ad esempio.

Schiavi di Roma e pollo fritto 

I preparativi del mio esame vanno avanti lentamente, anzi a dirla tutta lasciano presupporre  una settimana di castigo con la schiena rotta sul manuale cercando di recuperare l’irrecuperabile. 

Mentre sono totalmente nella merda ripeto mentalmente le vicissitudini degli schiavi nella Roma meno recente, alternando al diritto privato romano l’ascolto di qualche cover di musica contemporanea eseguita al pianoforte, un salto su Instagram e un morso al pollo fritto giusto per mandare a monte la prima settimana di dieta che pareva essere in procinto di funzionare. 

Giusto per continuare a fare schifo!

Di domenica

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In 23 anni e mezzo ho collezionato più di un migliaio di domeniche.
Ho alternato domeniche nelle quali ho dormito sino a mezzogiorno perché ammettere a me stessa di esistere e dunque di dover compiere azioni come aiutare a tagliare l’insalata, finire i compiti di italiano o pettinarmi era davvero una scocciatura, a domeniche nelle quali mi alzavo presto e preparavo allegramente le mie quattro cianfrusaglie e partivo insieme ai miei verso una lunga giornata al mare, di quelle che alle undici e mezzo hai già fame e stai ingurgitando panini con i pomodori secchi, in costume da bagno, nel bel mezzo di una pineta dimenticata da Dio, oltre che dalla Guardia Forestale.

 

Le domeniche hanno iniziato ad avere un sapore diverso con l’adolescenza. Forse perché quando vai alle superiori di solito di becchi una cotta colossale a causa di cui ti ritroverai a maledire, in piena notte, l’aver snobbato le domeniche dell’infanzia dove al massimo dovevi aiutare a tagliare l’insalata.

La domenica quel tipo che dopo dieci anni ti accorgerai di valutare come un verme bicolore dotato di parola (oddio, mica tanto…non è detto. Non fateci caso), non lo vedi.

Certo, lui non ti vede nemmeno tutti gli altri giorni, anzi non sa che tu esisti, magari nei suoi sogni vuole proprio una come te, una muta impedita che lo fissa di nascosto dietro ad un albergo pieno zeppo di formiche prima che suoni la campanella delle otto e mezza, ma non sa che tu esisti, proprio perché passi sei giorni la settimana nascosta dietro quel cazzo di albero!
Se avesse saputo della tua esistenza magari ti avrebbe invitato a mangiare un gelato la domenica pomeriggio (buona fortuna: è più o meno come quando il tipo che mi piaceva mi ha detto di andare a casa sua il giorno di Natale, per portargli il regalo, peccato che lui non ci fosse e che mi abbia aperto la mamma, che presumo mi avrebbe volentieri sgozzato e seppellita nel frutteto), nel mese di gennaio, sai che romantico congelarsi la lingua con una crema alla stracciatella mentre tu vorresti che ne so, un dannato bacio? Che tizio rincoglionito che ti piace, ma dai!

 

Le domeniche sono diventate una saporita pausa dal mondo all’epoca dell’università, o comunque dopo il diploma, visto e considerato che io ho anche preso un anno sabbatico, condito con domeniche atroci sempre per un tizio, uno di quelli che la vostra esistenza ce l’ha bene in mente per cinque giorni la settimana, ma il sabato non esce perché la domenica VA AL CAMPO. A GIOCARE. E NON STO PARLANDO DI TIZI FIDANZATI CON LA SERIE A.

 

La domenica non mi alzo alle cinque e mezza del mattino per andare a lavorare a studiare un po’ prima di prepararmi. Mi alzo un paio d’ore più tardi, faccio colazione con calma, leggo qualche rivista, e nel pomeriggio studio. La mattina mi dedico ai libri solo se so di avere impegni importanti nel pomeriggio e alla sera, o se gli esami da preparare sono più di uno. Insomma, la domenica me la prendo con calma, anche se continuano ad essercene che proprio eliminerei dal calendario!

 

Voi la domenica cosa fate?

Eppur non sembra.

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Okay, dal titolo non si capisce niente, avrei potuto scrivere “l’abito non fa il monaco”, ma in tema di vestiti sono molto meno propensa a farmi una seconda opinione, anche se in passato qualche volta ho dovuto ricredermi, ma insomma…Molte persone sono proprio diverse da come appaiono!

Inizio da un analisi che riguarda me stessa: oggi facevo colazione e la ragazza che era con me, quando abbiamo preso in esame l’argomento università-adolescenza-scuola-esami-prof è rimasta scioccata quando le ho raccontato che io odiavo profondamente andare a scuola, e che senza la minima ombra di dubbio l’aver scelto una facoltà senza obbligo di frequenza è un regalo del mio inconscio.

Mi annoiavo. Mi annoiavo e tutti mi annoiavano, non mi trovavo bene e avevo collezionato, nel corso della mia carriera di studentessa di istituto tecnico, un’infinità di conoscenze che attraversavano il globo (una ragazza cinese e una neozelandese incluse), ma le amicizie erano poche, cosa per moltissimi aspetti positive e per altrettanti negative. Ho instaurato rapporti molto più solidi stando al di fuori della scuola, e oggi conto su molte persone che, rimanendo chiusa in classe con gli occhi dentro le pagine del libro di analisi matematica non avrei mai conosciuto.

Ho più volte risposto male ai docenti, mi sono posta con fare prepotente e arrogante ai miei compagni di classe ottenendo il più delle volte solo qualche critica alle spalle. Probabilmente oggi riconosco di non aver mostrato sufficiente educazione perchè ho quegli anni in più che mi hanno insegnato ad usarla sempre e con tutti.

Viceversa, ho incontrato ragazzi che avrei etichettato facilmente come traditori seriali se non fosse che gli occhi delle loro fidanzate dicevano l’esatto contrario, così come il tempo si è rivelato utile nel dimostrarlo. Ho incontrato ragazzi timidi ed apparentemente introversi e fidanzatissimi che poi timbravano il biglietto ogni volta che capitava e in qualsiasi apparecchio, per poi mormorare imbarazzati “io sono sposato/fidanzato/ho quattro figli. Ma tu sei più bella”.

Ovviamente il post è ironico -ero convinta fosse chiaro ma visti alcuni commenti recenti con umorismo zero è meglio specificare-.

 

La partita di pallone

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Ho bisogno di te ma tu non ci sei mai.

Classico. Lo so, a leggerla sembra la solita frase di rimprovero, quella che tutte le donne prima o poi si ritrovano a gridare in faccia al proprio uomo, magari rompendo i piatti e saltando sui cocci, o camminando con rabbia mentre lui guarda tranquillo il derby alla tv, anzi alza il volume perchè non sente i commenti, oppure per telefono, mentre lui guida tranquillo sulla 131, guardando davanti a sè sentendosi un leone, un dio greco, ed è tutta colpa della donna che prima (quando non aveva bisogno di lui o ancora non glielo aveva spiegato) lo elogiava di continuo, lo trattava come un bambinone preparandogli pane e Nutella mentre guardava la partita con le stesse squadre (allora era l’andata, quando già gli rimprovera l’assenza si è come minimo al ritorno…) e gli diceva “sei la cosa più bella che mi sia capitata, amore mio”, ma lui annuiva e mica vi ascoltava cazzo, cioè stava per segnare la sua squadra del cuore, e la Nutella gli colava da lato destro della bocca, ma la donna lo vedeva bellissimo, perchè ancora non era passato abbastanza tempo da fargli capire che QUANDO GUARDA LA PARTITA NON DEVE FIATARE, NEMMENO PER SPIEGARE COSA HA SPALMATO SU QUELLE FETTE DI PANE, CHE SIA NUTELLA, BURRO D’ARACHIDI, BAGNOSCHIUMA FELCE AZZURRA O MAIONESE ALLO YOGURT, NON FA NESSUNISSIMA DIFFERENZA.

Io personalmente appartengo alla rinomata folla di cretine che nel primo periodo  fa tutto, e dico tutto, è capace di andare a vederlo giocare partite di calcio di squadre ignote persino al proprio dirigente, ventinovesima categoria girone H, stare lì a guardare quei cosi in pantaloncini che sfidano il freddo siberiano-nuorese (è la stessa identica cosa) e corrono da una parte all’altra del campo, appassionarsi alla sfida dietro la palla, imparare cos’è un calcio di rigore e tutte quelle cose lì, per fare bella figura dopo davanti alla pizza messicana, e dirgli “sei stato grande. Mi ecciti quando giochi”, e un po’ è vero insomma, belle gambe, begli occhi, non so cosa c’entrassero gli occhi con i goal mancati, ma tanto anche se la squadra del proprio amore perde in un 12-0 non è rilevante, perchè non esiste alcun giocatore migliore di lui, e poi è bello, il pane con la Nutella se lo merita tutto.

Poi un giorno, a volte, finisce.

E maledici tutte le volte in cui ti è venuta la depressione perchè non trovavi nessuno che ti facesse compagnia per andare a guardare le partite di uno che poi ha fatto armi e bagagli e se n’è andato a vivere a 250km (con un’altra, mica con te), e a te rimangono ancora i geloni da curare (lui non c’era, era agli allenamenti. O facendo goal con l’altra. Ma dove cazzo eri tu?), una felpa blu della squadra dove aveva giocato mezza stagione quando era un adolescente (quindi a 26 anni) per bene (poteva bere tutta la birra che voleva, guidava l’amico del cuore sfigato senza donna), e puoi ricominciare a piangere sul divano scozzese della nonna mangiando gelato al mascarpone al quale hai aggiunto il miele e la Nutella avanzata,  e secondo me pure i biscotti secchi, che hanno meno calorie delle Gocciole. Ovviamente guardi Top Gun e L’uomo della Pioggia, perchè Tom Cruise gli somigliava.

Ma vuoi paragonare? Tom Cruise con Lui, con i pantaloncini del calcio e la Nutella sul labbro inferiore? Molto meglio lui, no!

 

Se ne vanno e poi rispuntano come funghi

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A volte, qualcuno, ritorna. Non importa se perchè ha dimenticato le pantofole con Topolino o per supplicarvi di farlo entrare perchè fuori piove, è pieno di tigri sudafricane o c’è la peste bubbonica, loro quando tornano o cercano di reinserirsi nei vostri pensieri o comunque ci vanno a finire, ecco.

Probabilmente dopo 14 giorni passati a mangiare Nutella con i crackers salati, pizze messicane, gelati alla stracciatella -o a non mangiare affatto-, guardando “Notting Hill”, “Titanic”, “Pretty Woman”, “Il laureato” (io, nel mio caso, l’ho visto almeno un centinaio di volte, e sto arrotondando per difetto), “City of angels”, “Love Story” e simili (il tutto piangendo con disperazione, tanto che i vicini hanno organizzato una riunione per fare colletta e pagare un esorcista) vi siete calmate, avete ricominciato a bollire gli spinaci e a fare gli squat, vi siete persino fatte la piega ai capelli, avete comprato quel costosissimo rossetto che tanto desideravate perchè insomma, dopo tanta sofferenza, un piccolo e rosso regalo ve lo siete meritato tutto.

Avete persino stilato una lunga lista di progetti bellissimi da fare senza quel caprone ingrato che a) vi ha lasciato perchè si carica un’altra -b) vi ha lasciato perchè non ha il coraggio di lasciare la fidanzata,ops! c)lo avete lasciato perchè voleva solo i vostri cazzo di regali, più che baci o carezze in Sudamerica d)se n’è andato perchè è un gabbiano, uno spirito libero, Gemma&Giorgio style.

Dopo tutta questa fatica, 150 squat, una confezione di spinaci Orogel e un lettore DVD nuovo (oltre che diverse dozzine di cambiali da firmare per i fazzoletti Tempo acquistati), lo vedete.

Quello champignon per cui vi siete indebitate e a causa di cui siete piene di brufoli nella schiena, e di occhiaie in faccia –che colore è diventata la vostra pelle? La mia è tra i grigio e il verde, cercherò la giusta tonalità nei pastelli Giotto– è rispuntato dal nulla, così, non importa se vi suona il campanello, se lo incrociate in macchina, se passa in via Sassari, se sbuca tra gli intervistati che fanno jogging il 27 dicembre nella puntata di Studio Aperto, quando vi siete riprese lui lo rivedete, sicuro.

Per molte è il caso di ridargli una possibilità, per altre è l’ennesima occasione per dargli un colpo di borsetta in faccia.

 

 

S.O.S Scrivania

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Una delle poche cose che invidio è la capacità di mantenere in ordine una scrivania, postazione di lavoro o come la si vuol chiamare, quello è.

Ho trovato questa foto su http://weheartit.com/ e alla vista di quella colazione salutare e succulenta, abbinata ai colori della poltroncina, al notebook e al quaderno…Beh, ho guardato la mia scrivania e a partire da sinistra trovereste:

  • Un dizionario di italiano, di quelli medi, non è tascabile ma da borsetta sì (che poi dipende dalla borsa, non penso entri nella 2.55…
  • Tre portafoto, con immagini rispettivamente del mio secondo compleanno (1995: bei tempi quelli), che quasi coprono un vaso in porcellana con dentro fiori finti dai colori sbiaditi la cui specie è ignota
  • Una cartolina inviatami da Parigi, incastrata tra una Puposka e una scatola contenente evidenziatori di colore giallo, verde, rosa, tre rossetti, una matita per gli occhi, un temperino, una Bic blu (ho trovato un evidenziatore celeste!!!), una pennina USB di otto anni fa (la usavo alle superiori. Bei tempi quelli…) e c’è pure un braccialetto.
  • Lo schermo del pc, quello fisso. Davanti, ovvero nel ripiano dove appoggio i gomiti -sono ineducata a volte- una pila di riviste femminili e l’agenda. A sinistra il codice civile con le dispense dell’esame del momento SEMPRE.

E non ho nemmeno una poltroncina foderata di tulipani o gerbere, ho una sedia normale, e non per questo i miei jeans piangono.

Di solito mangio in cucina.

Sono una vergogna creativa.

Il sabato universitario

Viene quasi da rimpiangere quelli della prima adolescenza dove il massimo dello svago era andare a trovare la nonna, 36 chilometri di curve, col papà che faceva il figo per via della macchina nuova, la musica latino-americana e la mamma col rossetto color orchidea che sta bene solo a lei, se lo mettessi io sembrerei un incrocio fatto male tra una prostituta sudamericana e una fashion blogger dei poveri che ha appena fatto colazione con un frullato di barbabietola e lampone.

Il sabato universitario invece al massimo puoi maledirti perchè non hai preferito l’alternativa di andare a raccogliere datteri in Tunisia, e ritrovarti a ballare “Rebel Rebel” di Bowie tra un paragrafo e l’altro del libro di Logistica. Gatto che si copre gli occhi con le zampe incluso.

Comunque scherzi a parte, adesso metto via l’iPod che devo guardare “C’è posta per te”.

Dopo il diciassettesimo cucchiaio di Nutella

Canzone del giorno: 29 Settembre, Lucio Battisti

Oggi abbandono per un attimo i miei post sulla gelosia cronica per dedicarmi ad un’innata e masochista dolcezza: quella che ogni tanto insomma, ammettiamolo, ci obbliga a segregarci in casa avvolte in un plaid a quadri e, ascoltando la pioggia lenta e delicata, ci immergiamo in un fiume in piena di fantasie mielose. A confronto, “Titanic” è un film d’azione.

Non so perchè ma personalmente queste crisi rosa mi vengono più che 2-3 volte l’anno, oserei dire decisamente spesso, vi confesso che mi vengono tutti i giorni quando sto preparando un esame al quale o prendo un voto pari o superiore al 25 o mi toccherà fare armi e bagagli e partire per Marte.

Ma io mi rimbocco le maniche e, dopo il diciassettesimo cucchiaio di Nutella mi alzo dal divano e mi libero dal plaid fantasia kilt suonatore di cornamusa e afferro, con notevole disperazione, il manuale.

Il mondo è ingiusto. Quando piove si dovrebbe stare abbracciati sotto le coperte a ronfare come gatti certosini al sole di mezzogiorno, ogni tanto svegliarsi (più che altro per controllare se l’altro dorme con la bocca spalancata come la balena che si è pappata Pinocchio o se sta mandando messaggi schifosi alla capra accaldata di turno). Oppure stare accoccolati su quel dannato divano della nonna, salvato dalla discarica perchè tra un divanetto modesto dell’ipermercato e le Hogan si è votato per le scarpe con la H formato insegna del McDonald’s, mezzo sfondato e con i peli del gatto certosino ancorati alla fibra del tessuto che nel 1962 era color panna e ora è color Nescafè Ginseng, a proposito forse è il caso di chiamare un tappezziere, o comprare un copridivano, togliere la tenda dalla finestra del bagno e coprire questo coso, insomma, salvare ancora il divano della nonna.
Mentre si guarda un film con Dorelli, Chef per un giorno o qualcosa insomma, tutto anzichè fare riassunti o si pensa E ANCHE OGGI SI STUDIA DOMANI.

E proprio perchè il mondo è ingiusto, vado a studiare…sul divano della nonna. Il mio è tappezzato di un colore tra il mattone e l’arancia Washington, per la cronaca. Per maggiori informazioni cercare la tonalità tra i pastelli Giotto.

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