Schiavi di Roma e pollo fritto 

I preparativi del mio esame vanno avanti lentamente, anzi a dirla tutta lasciano presupporre  una settimana di castigo con la schiena rotta sul manuale cercando di recuperare l’irrecuperabile. 

Mentre sono totalmente nella merda ripeto mentalmente le vicissitudini degli schiavi nella Roma meno recente, alternando al diritto privato romano l’ascolto di qualche cover di musica contemporanea eseguita al pianoforte, un salto su Instagram e un morso al pollo fritto giusto per mandare a monte la prima settimana di dieta che pareva essere in procinto di funzionare. 

Giusto per continuare a fare schifo!

La vergogna del nostro Paese

La vergogna del nostro Paese e ritrovarsi a spedire CV a 51 anni, perchè la crisi ti ha costretto, ti ha strappato via tutto quello che avevi costruito e ha bruciato la speranza. Nessuno ti richiama, se hai 51 anni….

 

E io vi dico che ne ho 21, ma non sto trovando meno difficoltà di mio padre, che dopo una vita intera nella quale ha sempre lavorato, arrivando a darmi ogni lusso, si ritrova oggi in questa situazione. Non cerco compassione. Non mi aspetto che mi arrivino mail con proposte di lavoro o altro. Mi aspetto che la mia frase scritta sopra giri un bel po’, e che faccia vergognare la classe immeritevole e abbiente: quella ricca e assetata dei politici. Quella di coloro che ignorano perchè hanno. Hanno già avuto, e avranno sempre di più. Che gli frega a loro di chi non riesce più a pagare l’affitto, delle nuove emigrazioni, dei suicidi, delle cartelle esattoriali, di chi ha perso tutto. Cosa gli potrebbe mai importare di tutto ciò, loro stanno tranquilli nelle loro poltrone, stanno attenti a non sporcarsi la suola delle scarpe prima di entrare nelle loro Auto Blu, meritano la maiuscola. Cosa gli importa di chi non ha più niente, di chi aspetta la fine.

Mi fanno tutti schifo. Il mio non è cinismo in questo caso, è rabbia. Una rabbia malata, agonizzante, che mi lega stasera alla sedia, per comunicare all’Italia e, casualmente, all’estero, quando questa situazione mi dia la nausea. Un Paese dove la dignità dei nuovi poveri -che sono i sempre onesti- se la mangiano in Parlamento. Ma vergognatevi.

Ricordo la frase di una signora di Elìni, l’estate scorsa, detta durante un discorso con mio padre mentre facevamo colazione.
“SONO ABITUATI A RUBARE IN CAMICIA E CRAVATTA”

Mai sentita frase più vera. Io che sin dalla prima superiore, grazie ad un grandissimo professore,  il professor Dasara, ho cominciato a seguire quel mondo di tizi con le scarpe stringate, mi sento quasi in colpa per aver avuto fiducia in loro, in un primo tempo.

Ora che la crisi mi ha toccata, divorata, ingoiata, non mi resta che gridare tutto il mio sconforto, la mia rabbia, la mia disillusione, che si associa tristemente a quella di TUTTI gli altri italiani che, come mio padre, oggi si ritrovano a dover costruire dell’altro. Senza la speranza che sia possibile. Questa è la vergogna del nostro (p)aese, merita la minuscola.