Se solo t’avessi dimostrato abbastanza

Se solo avessi accettato sin da subito l’eventualità che un giorno te ne saresti andato, oggi non continuerei ad aspettarti.
Se solo avessi saputo che un giorno mi saresti mancato così tanto, non avrei permesso ad alcun ostacolo d’allontanarti più delle ore alle quali, tremendamente, m’ero abituata, più per orgoglio e sfida alla tolleranza sentimentale che non avevo affatto, ma che m’obbligavo a fingere, per non apparire troppo invadente, troppo presente, troppo scontata, per non stancarti.
Per non stancarti, non ci sono stata mai abbastanza.
Oggi mi chiedo cosa sarebbe cambiato se t’avessi stretto più a lungo, più forte, ogni volta, se ti avessi chiamato quando avevo voglia senza reprimerne l’incosciente desiderio che dilaga nell’angoscia dell’innamoramento, se fossi stata più presente dentro le giornate e confidandoti con più dolcezza i sogni nei quali mi accompagnavi durante le notti nelle quali la distanza vinceva sempre materialmente, ma mai contro la forza del pensiero.
Se avessi saputo come sarebbero andate le cose, avrei certamente agito di più, perché è così che reputo la mia posizione guardandola con gli occhi lucidi del senno di poi; un’insicura e terrorizzata statuina, ma felice, perché non potevo essere altrimenti nel sapere che ci saresti stato, l’importanza del momento scaturiva una notevole indifferenza davanti al pericoloso domani, offuscato dall’immaginifico futuro lontano, forse troppo, al quale mi ero affezionata illudendomi che un giorno ci sarebbe realmente appartenuto.
Sapessi quante strade abbiamo camminato insieme dentro quella fantasia lucida e ambiziosa, quante fotografie ci avrebbero ritratto se solo il destino fosse stato meno ostile e più pacifico nei confronti dei nostri istinti, e quante cose la gente non sa e non capirà mai, quanto è difficile raccontare e spiegare agli altri quello che ora è soltanto un insieme disordinato di fotogrammi mentali, in bianco e nero, e ci sono io seduta su una panchina davanti la chiesa, tu che attraversi la strada, c’è l’inverno con le sue mattinate dal sole ammalato e col venticello gelido del gennaio inoltrato, ci sono gli altri passanti che ci guardano e notano, notano quello che è a parole diventa volgare, privo della poesia del vissuto, di un passato che scorre nelle vene come antidoto all’agonia, sperando che vivere nel ricordo possa essere meno doloroso che non averlo fatto mai.
Che peccato guardare ai sogni che non si realizzeranno, come sarebbe salutare poterli offuscare per non farsi troppo male nel ripensarci e ricominciare invano a sperarci, che masochista è la mente umana, quanto patisce il cuore per volontà di una mente onnipotente davanti al desiderio.
Attribuirsi colpe senza le quali comunque sarebbe andata così serve a giustificare l’immotivata fine di tanta bellezza, che non verrà mai compresa e immaginata nel modo giusto nemmeno se descritta dal più retorico dei poeti, dal più impressionista dei pittori, io stessa sono ora incapace di riportarla non solo su carta o di lasciarla vagare nell’aria con il rumore della voce, che toglie al silenzio del rimembrare straziante tutta la sua innocente agonia, sublime dolore che ti sottrae respiro e tempo, come andare avanti con la coscienza della fine e l’incoerenza del volerlo ancora, ma a guardare indietro non si va mai avanti. A restare fermi, ci si crogiola soltanto nel dolore finendo per impazzire, e se riconosco di stare proprio impazzendo nel ricondurre a te qualsiasi elemento dapprima a noi inerente, sarò felice di farlo in eterno, perché sarà sempre morire di te che non averti mai vissuto; sarà sempre meglio patire che non godere d’alcuna emozione, per quanto l’agonia possa esserne la caratteristica essenziale; sarà sempre meglio lasciare che le gote anneghino nelle lacrime del rimuginare che chiudere gli occhi senza averti mai guardato.
Sarebbe stato meglio esserci stata con troppa foga e troppa illusione che essersi legata le mani più di una volta per evitare l’esagerazione, invece avrei dovuto esserci troppo, dentro tutti i tuoi giorni, avrei dovuto realizzare tutti quei sogni, lottare per essi, non soltanto riprodurli dentro me come film al cinema, avrei dovuto correre più veloce, avrei dovuto esagerare.
Eppure, che tu voglia prima o poi riapparire come dentro uno di questi sogni, io t’aspetto.

Estratto dalla raccolta “Lettere all’amante”

[luogo], 29 luglio 2015

Perfetto,

quanto e come t’aspetto!
Non hanno ancora suonato le nove le nostre campane che già mi ritrovo dietro il banco ad aspettare di guardarti passare.

Come desidero qualcosa di più.

Non mi limiterò alla banale richiesta di un tuo elemosinato sorriso, perchè sono sempre l’inaccontentabile e sognante giovane (forse troppo? Sarà mica quello sciocco numero a frenarti?) che trascorre ormai estati ed inverni nell’attesa di quel “qualcosa di più” che tanto stenta ad arrivare.

Eppure mi ritrovo ad amare follemente ognuno di questi logoranti attimi nel limbo, senza sapere più nè se vale ne sè no patire così atrocemente e dolcemente, silenziosamente con le labbra ma rumorosamente con quel corpo che ho ripreso a maltrattare, e a cui mancano diversi chili e centrimetri dal nostro ultimo incontro.

Brucia incredibilmente questo muto sperare, agonia dell’incredulità, tepore di lacrime che risalgono in superficie, per poi piovere ancora, bagnandomi le occhiaie per lavare via almeno il viola della sofferta finta di un sorriso che aspetto di donarti.

Sono proprio sciocca, eh?

A volte soffriamo da morire senza il minimo ritegno, e di ciò riusciamo quasi ad andarne fieri.

T’aspetto,

B.

L’amante

Stavo pensando (no, non sono andata nemmeno questa domenica al mare, io sono coerente con le mie idee idiote) che ogni mensile femminile è pieno di sfoghi di ragazze o mogli che si lamentano del tradimento di un ipotetico marito, fidanzato o compagno, che da mesi o anni conduceva una doppia vita, avevano un’amante. O un amante. Sottolineo la mancanza dell’apostrofo.

La mia domanda è: ma ci si cura mai invece dell’aspetto delle amanti stesse, di quelle che stanno a casa a profumarsi il collo prima dell’appuntamento col bigamo?
Io non ho mai letto servizi con titolo “Io Caia, sono stata amante per tot anni di Tizio, che era sposato con Sempronia”.
Ci si cura sempre delle cornute e mai delle cornificanti, ma non perchè queste abbiano bisogno di attenzione o cure (ci pensa già probabilmente quel bastardo), io sono curiosa perchè vorrei sapere cosa provano loro. Cosa pensano.

Ovviamente la domanda non vale per i puttanieri del venerdì sera, che vanno a pesca di ragazze sfortunate. Intendo quelli che adocchiano qualcuna che magari è anche più brutta della moglie ma più affettuosa, o più passionale ma col naso da befana.

Concludo col consiglio di guardare “L’amante”, film del 1970, con Michel Piccoli, Lea Massari e Romy Schneider.